Un itinerario fra i giardini della Val d’Orcia, Pienza e Chianciano terme.
     
 
S. Quirico d’Orcia è un antico borgo medievale in terra senese, posto in posizione strategica fra Roma e Firenze, sulle alture che separano la val d’Orcia dalla valle dell’Asso lungo la via Francigena. Fu per lungo tempo sotto il dominio di Siena, che ne ampliò a più riprese la cinta muraria. Il paese conserva la struttura urbanistica medievale,
   
articolata intorno all’antico Castrum ed al borgo di
S. Maria, poi unificati dai senesi in un unico agglomerato fortificato. Nel cuore dell’antico borgo murato si trovano i cosiddetti “Horti Leonini” voluti da Diomede Leoni intorno al 1581[1], nei quali si celebra il tema dell’ospitalità: il giardino era infatti aperto ai viaggiatori ed ai pellegrini che percorrevano la strada che da Roma portava a Siena e Firenze. A questo tema inneggiano alcune iscrizioni murate alludenti al riposo dopo il faticoso cammino ed al giardino visto come luogo di primavera eterna “Hic ver assiduum”, da contrapporsi alle difficoltà della vita cittadina[2].
     
Il Leoni aveva ricevuto in dono dal Granduca di Toscana il terreno sul quale realizzò il giardino, a riconoscimento da un lato dell’intento filantropico dell’opera e dall’altro del lavoro di riqualificazione di una zona degradata lungo le mura cittadine[3], come scrive il Verdiani Bandi: “(..) il detto Diomede Leoni fu il primo che diede principio a restaurare le
   
ruine et far alcuni suoi Orti chiamati Leonini, che
tornano ad ornato di quel luogo dove esso è nato et a qualche comodità ancora delli viandanti (..)”[4]. Gli Horti Leonini sorgono infatti in uno spazio irregolare addossato alle mura quattrocentesche del borgo e comprendono diversi manufatti, fra i quali si poteva annoverare una torre medievale distrutta dai tedeschi nel 1944[5]. Da una lettera del governatore di Siena al granduca Francesco I datata 8 novembre 1581 si apprende che al Leoni era concesso di poter “(..) appoggiare alle mura e di poter fare un corridore sopra di quelle, coperto o scoperto per lo spazio che cingono et abbracciano detti suoi horti, che concedendoseli non può non tornare si non a utile e preservatione delle dette mura (..) e di già d.o ms. Diomede ha ottenuto dall’alt.za V.S. (..) di poter fare in dette mura quattro finestre e una porticciola (..)”[6], costruire cioè un camminamento rialzato che permettesse di ammirare dall’alto il giardino ed il panorama sulla vicina val d’Orcia, ed aprire nelle mura delle finestre ed una porta che collegassero la sua residenza al giardino stesso.
     
Gli Horti Leonini, pur ricalcando lo schema rinascimentale nella loro divisione in giardino formale e selvatico, presentano diverse caratteristiche che li rendono unici nel loro genere: da un lato la mancanza di un rapporto diretto con l’edificato (non nascono infatti come spazio verde annesso ad un palazzo) e dall’altra il disegno
   
inconsueto ad esagono degli spartimenti
geometrici, separati da percorsi a raggera, che ben si adatta all’irregolarità dell’area. Questo giardino, che costituisce un piccolo ma originale microcosmo denso di significati letterari ed artistici, da molti anni ospita interessanti mostre di arte contemporanea ‘open air’, ad ulteriore riprova dello stretto connubio esistente fra Arte e Natura che travalica il tempo e lo spazio. Qui hanno esposto alcuni dei più importanti artisti italiani e stranieri, da Pomodoro a Cascella, da Sinisca a Somaini, ma anche Laurenz Metzler, Matthew Spender e, più recentemente, il berlinese Topaz.
     
A pochi chilometri da S. Quirico troviamo Pienza, cittadella quattrocentesca voluta da papa Pio II, Enea Silvio Piccolomini (Corsignano 1405-Ancona 1464) il quale, durante un viaggio in terra natia, concepì l’ambizioso progetto di trasformare secondo i principi albertiani l’antico borgo fortificato di Corsignano in una città-modello rinascimentale. Il
    progetto fu affidato ad un giovane architetto
fiorentino, Bernardo Rossellino, che elaborò un progetto armonioso ed equilibrato, capace di innestare la nuova concezione spaziale -imperniata su un lungo asse longitudinale (l’attuale corso Rossellino)- nel preesistente tessuto urbano medievale[7]. Fulcro della città ideale voluta da Enea Silvio Piccolomini è l’attuale piazza Pio II, sulla quale si apre l’imponente mole di palazzo Piccolomini, progettato anch’esso dal Rossellino su ispirazione di palazzo Rucellai a Firenze. A pianta quadrata, con rivestimento a bugnato, presenta un elegante prospetto frontale articolato in bifore e lesene; internamente troviamo un luminoso cortile a pianta quadrata dal quale si accede ad piccolo giardino pensile che esemplifica mirabilmente il modello tipologico del giardino murato quattrocentesco. Nel giardino -posto a cerniera fra architettura e natura- è presente una importante innovazione, ed è l’apertura sul paesaggio circostante, elemento questo che caratterizzerà da questo momento in poi -in maniera significativa- il giardino rinascimentale.
     
Si tratta, come già accennato, di un giardino pensile: dietro il palazzo non c’era infatti spazio sufficiente, data l’irregolarità del fondo e la vicinanza del pendio. Fu quindi necessario erigere una sottostruttura a due piani, con grandi volte in muratura sulle quali fu riportato il terreno, poi opportunamente modellato. Dell’ardita opera
    ingegneristica parla lo stesso papa Pio II nel suo
Commentarii rerum memorabilium”: “(..) Oltre i portici e le cucine c’è uno spazio di terra (..) tanto grande quanto quello occupato dal palazzo: di questo spazio si volle fare un giardino. Ma il suolo era ineguale ed in forte pendenza; si sono costruiti perciò dei muri di grande spessore fin dalla base dello scoglio e sopra dei pilastri di pietre e mattoni sono state tirate delle volte per formare delle stalle capaci di 100 cavalli e officine di maniscalco. Quindi dopo un vuoto di circa 12 piedi, furono aggiunte sopra altre volte e sopra a queste fu ammucchiata la terra in modo da avere un suolo piano e un orto pensile adatto per le viti e altri alberi (..)”[8]. Il giardino -il cui aspetto attuale è dovuto ai restauri d’inizio Novecento- all’epoca ospitava quindi alberi da frutto, ed era ornato da sedute in pietra e ‘pinnacoli colorati’, come ricorda ancora il Piccolomini. Sul fondo -oggi chiuso da un muro con tre finestre- il giardino era deliminato da un semplice parapetto, che consentiva la continuità visiva con la vallata sottostante.
     
Il tema del paesaggio e del Rinascimento è ripreso anche in altro importante giardino, quello di villa la Foce a Chianciano terme, posto sul crinale di un poggio fra i rilievi che fanno da spartiacque tra la Val d’Orcia e la Valdichiana. Qui il paesaggista inglese Cecil R. Pinsent creò, fra il 1927 ed il 1939, uno stupendo giardino ispirato ai temi del giardino
    formale italiano che aveva avuto nel periodo
rinascimentale e barocco le sue massime espressioni[9]. I proprietari, la nobildonna inglese Iris Origo ed il marito Antonio, negli anni Venti avevano acquistato una vasta proprietà in stato di abbandono, immersa nel paesaggio brullo e selvaggio delle crete senesi, con una residenza quattrocentesca, già ostello dell’Ospedale di S. Maria della Scala per i viandanti ed i pellegrini che percorrevano la via Francigena. Iris Origo, cresciuta fra l’Inghilterra e le colline fiorentine (la madre era infatti proprietaria della magnifica villa Medici e Fiesole), volle con forza e con tenacia il recupero della proprietà: “(..) A un tratto mi invase una terribile nostalgia del nitido e dolce paesaggio fiorentino della mia infanzia o dei verdi campi, dei grandi alberi d’Inghilterra; e più di tutto il desiderio di una bella casa con giardino cui tornare la sera. Sentivo il paesaggio circostante alieno, disumano, creato su una scala adatta a semidei o a giganti, non a noi (..)”[10].
     
Pinsent ristrutturò la villa, creò una bella limonaia ed altri annessi; diede poi vita al progetto degli spazi esterni, dove seppe mirabilmente sfruttare e valorizzare la morfologia del terreno. Il giardino è articolato in una serie di ‘camere verdi’ incernierate l’una con l’altra in modo tale intravederne la successiva, così da spingere il visitatore nel
   
proseguo della visita. Dal primo giardino formale,
creato nel ’27, tramite uno stretto passaggio segnato da due pilastri ornati da vasi baccellati, si passa al giardino dei limoni realizzato sei anni più tardi e caratterizzato da forme topiarie e belle fioriture. Questo giardino si conclude con una terrazza “(..) dove cenavamo nelle sere estive -ricorda la Origo- prima del raccolto, con tutto il giardino scintillante di lucciole e l’aria profumata di Nicotiana e gelsomino (..)”[11]. Da questo si accede poi al giardino inferiore, dalla inconsueta forma triangolare, cui si accede tramite un monumentale scalone in travertino di Rapolano. Attraverso un lungo pergolato di glicine -al di là del quale si stende un giardino di rose- si arriva ad una piazzola panoramica, dal quale è possibile ammirare in lontananza il curvilineo viale di cipressi fatto piantare dalla Origo in omaggio alla pittura senese quattrocentesca.

[1] Isa Belli Barsali, Baldassarre Peruzzi e le villa senesi del Cinquecento, Archivo italiano dell’Arte dei Giardini, S.Quirico d’Orcia 1977, pp. 125-127.

[2] Ferdinando Chiostri, Parchi della Toscana, Todi 1989, p. 199.

[3] Marco Ciampolini, Felicia Rotundo, Il palazzo Chigi-Zondadari a San Quirico d’Orcia, Siena 1992, p. 17.

[4] A. Verdiani Bandi, I castelli della Val d’Orcia e la repubblica di Siena, Siena 1973, p. 338.

[5] La perdita è tanto più grave se si considera che la torre era arrivata al XX secolo in buono stato di conservazione, come ricorda anche il Rondini in una sua guida al territorio senese: “(..) gli Orti Leonini, di proprietà Chigi-Zondadari, fondati nel XVI secolo (..) sono assai interessanti. Ben conservata è la torre in mattoni della rocca, nell’interno degli Orti stessi (..)”. (Cfr. A. Rondini, Siena e la sua provincia, guida annuario 1931, Siena 1931, p. 739).

[6] Isa Belli Barsali, L’abitato medievale di S.Quirico d’Orcia; in: Storia dell’Arte, 1980, pp. 78-79.

[7] E. Pacini, M. Mangiavacchi, Le ville medicee di Michelozzo ed il palazzo Piccolomini a Pienza; in: Stanze per un giardino – Il paesaggio ed il giardino nella cultura umanistica; “Quaderni dell’Archivio Italiano dell’Arte dei Giardini”, n. 4/5, S. Quirico d’Orcia 1994, pp. 38-40.

[8] Enea Silvio Piccolomini, I Commentarii, edizione a cura di G. Bernetti, vol. III, Siena 1973, pp. 215-222.

[9] G. Galletti, Cecil Pinsent architetto dell’Umanesimo; in: A. Tagliolini (a cura di), Il giardino europeo del Novecento 1900-1940, Firenze 1993, pp. 181-195.

[10] I. Origo, Immagini ed ombre, Milano 1984, pp. 195-196.

[11] Ibidem, p. 232.