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La coltivazione degli
agrumi ha origini lontanissime, ed avrebbe avuto origine nel continente
asiatico -in Indonesia e nella Cina meridionale- non meno di 4000 anni
fa, intorno al 2400.a.C. . Le
più antiche indicazioni nella letteratura cinese e indiana vanno
riferite appunto ad un periodo compreso fra gli anni 2400 e 800 anni a.C.
e, non a caso, l’India sembra essere ancora oggi la regione più
ricca di forme selvatiche. Le
specie di cui si hanno più menzioni sono il pummelo, Citrus
grandis, già ricordato nell’opera cinese “Il
tributo di Yu” al tempo dell’Imperatore della Cina Ta
Yu, intorno al 2200 a.C. anche se poco conosciuto e diffuso in Europa
soltanto nel XII secolo, ed il cedro, del quale invece -forse per la sua
utilizzazione nei riti religiosi- si è avuta una maggiore diffusione
e conoscenza. Quest’ultimo
fu infatti adottato dagli Ebrei per la cosiddetta “festa delle
Capanne o dei Tabernacoli”, già nel VI sec. a.C., diffondendosi
intorno al III sec. a.C.; Virgilio fu il primo scrittore latino a menzionarlo.
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Il
cedro, dal quale deriva il nome del genere Citrus, fece
la sua apparizione in Toscana già nell’ XI sec., come viene
riferito da Manni, il quale illustra un sigillo con l’impronta
di tre cedri appartenente alla famiglia fiorentina dei Cedernelli.
Del
limone sappiamo che era già presente in Italia nel I sec. a.C.,
dato che durante gli scavi
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archeologici
dell’Insula 9 di Pompei, tra il 1951 |
e il 1952, sotto la direzione di Amedeo Maiuri, venne alla luce nella
“Casa del Frutteto” un affresco che raffigura una
pianta di limone con ventuno frutti. Si
deve invece andare risalire all’ XI sec. per avere notizie dell’arancio
amaro, che fu introdotto in Italia probabilmente dai Crociati, proveniente
dalla Palestina, dove era stato diffuso dagli Arabi nel X sec., i quali
a loro volta lo avevano importato dalle regioni più meridionali
dell’Asia. Gli
aranci amari ed i limoni si trovano coltivati in Toscana già
nel 1300, come ci riferisce il botanico Targioni Tozzetti, mentre per
l’arancio dolce si deve aspettare il XV sec., quando venne introdotto
in Italia da Genovesi e Portoghesi.
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Anche
la mitologia è ricca di riferimenti agli agrumi: basti pensare
al giardino delle Esperidi ed ai pomi d’oro. Qualcuno ipotizza
perfino che il pomo di Adamo ed Eva e quello che provocò la
guerra di Troia fossero in realtà dei frutti di agrumi. Gli
antichi avevano infatti scelto gli agrumi come simbolo di felicità
e fertilità per i numerosi spicchi e semi presenti nel frutto
chiamato ‘esperidio’; i
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fiori
e frutti d’arancio furono il dono di nozze di |
Giove
a Giunone e per questo il bouquet di fiori d’arancio è
entrato nel costume del rito matrimoniale.
Nel XVI sec., con l’avvento al potere della famiglia Medici, iniziò
a Firenze la coltivazione degli agrumi. Le varietà più
rare e bizzarre diventarono vanto collezionistico nobiliare e da Firenze
la “moda“ della coltivazione degli agrumi si diffuse in
tutte le corti europee.
Per tutto il XVII sec. gli agrumi dei Medici continuarono ad essere
oggetto di interesse, come dimostrano le tele del pittore Bartolomeo
Bimbi che bene ha raffigurato nei suoi dipinti la bellezza di questi
frutti e l’uso che i nobili fiorentini ne facevano.
A quell’epoca
limoni, aranci, cedri e bergamotti avevano principalmente una funzione
ornamentale, ma venivano anche usati per scopi medicinali ed ornamentali.
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Il
sapore e la sugosità della polpa nel Sei-Settecento non era
l’unica caratteristica apprezzata di quei frutti profumati,
anzi, il loro aspetto ornamentale da esibirsi in giardino ma
soprattutto in casa, nelle trionfali fruttiere e nelle ghirlande
appese alle pareti, prevaleva in genere sulle considerazioni
alimentari, anche se gli agrumi erano molto usati per l’estrazione
di essenze e
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se
ne facevano polveri “.. da mescolare ai vini per |
ammazzare i vermi
e preservare dalla peste ..”, oltre che condimenti per dare
gusto alle bevande ed ai cibi. Gli
agrumi erano considerati un prezioso dono, un ricordo da offrire ad un
nobile visitatore, un oggetto di scambio, per non parlare dei viaggi di
ricerca che studiosi e raccoglitori intraprendevano per riuscire a scoprire
-e spesso a carpire- nuove ed originali varietà, dalle quali poter
prelevare marze per arricchire così le raccolte e le collezioni
europee. Come
già detto è nel ‘600 che esplose la “citromania”,
ossia la moda della coltivazione degli agrumi ornamentali ed in quel periodo
non c’era famiglia nobile che non esibisse almeno una pianta di
limone. Nel centro-nord Italia, già nel XV sec., gli agrumi venivano
coltivati vicino ad alti muri, allevati a spalliera e coperti in inverno
con tettoie e stuoie. Per i limoni e gli aranci nel XVII sec. verranno
poi costruite costose apposite serre, dette in Toscana ‘limonaie’
ed in Francia ‘orangerie’. Ogni
residenza nobile da quel momento in avanti fu dotata del proprio ‘stanzone’
per gli agrumi dando vita ad una vera e propria competizione fra collezionisti
e di conseguenza alla necessità di disporre di autentici cataloghi
ed esatte classificazioni di specie e varietà.
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Il
primo a classificare gli agrumi fu un padre gesuita senese,
Giovan Battista Ferrari, che nel 1646 pubblicò a Roma il trattato
“Hesperides sive de malorum aureorum cultura et usu”;
questo trattato fu seguito nel 1676 da quello intitolato “Nederlantze
Hesperides” dell’olandese Commelyn, il quale nel giardino
botanico di Amsterdam raccolse la più bella collezione di agrumi
che il clima dell’Europa settentrionale permettesse di coltivare.
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Fu poi la volta del
tedesco J.C. Volkamer, che nel 1708-1714 pubblicò a Norimberga
un trattato in due volumi arricchiti da preziose incisioni ed intitolato
“Nümbergische Hesperides”. A
questi seguirono diversi altri trattati e relative classificazioni: si
deve ad esempio allo svedese Carlo Linneo la creazione del genere Citrus,
che fu inserito nella sua opera “Species Plantarum ..”
edita a Stoccolma nel 1753; altri interessanti studi sugli agrumi furono
quelli del conte savonese Giorgio Gallesio che nel 1811 pubblicò
a Parigi il suo “Traité du Citrus” seguito
nel 1818 da quello di Risso e Poiteau “Histoire naturelle des
orangers”.
Dovrà però passare oltre un secolo per arrivare al lavoro
sulla sistematica del genere Citrus dell’americano Swingle, pubblicato
nel volume “The Citrus industry” di Webber nel 1948,
lavoro che sarà poi seguito da quello del giapponese Tanaka nel
1954.
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E’
interessante sottolineare che la coltivazione degli agrumi in
vaso è una specialità tutta italiana, tant’è vero che il nostro
Paese ospita una delle più vaste ed importanti collezioni d’Europa
e forse del mondo, una raccolta di veri e propri ‘pezzi d’antiquariato’
vegetali, rappresentata dalla collezione medicea conservata
nel giardino della villa medicea di Castello ed in piccola parte
in
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quello
di Boboli a Firenze. Questa collezione |
riveste un particolare interesse storico-botanico e comprende circa
mille piante in vaso, fra grandi e piccole, secolari e recenti, ma sempre
di immenso valore per la loro discendenza dalle cultivar medicee.
La sua coltivazione
in vasi di terracotta dell’Impruneta (una località poco
fuori Firenze famosa proprio per questa particolare attività
artigianale), anche di notevoli dimensioni, ornati da fregi e stemmi
di epoca granducale, le varietà rare che la compongono, le bizzarrie
e le mostruosità dei suoi frutti, fanno sì che questa
collezione possa essere considerata assolutamente unica nel suo genere,
una vera e propria ‘Galleria degli Uffizi’, un ‘Louvre’
degli agrumi. Le piante durante l’inverno vengono ricoverate nelle
limonaie, per poi essere esposte da aprile ad ottobre negli spazi appositi
del giardino formale; le operazioni di trasporto dei vasi di agrumi
da fuori a dentro e viceversa sono così complesse che richiedono
oltre un mese di lavoro di diversi giardinieri.
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Nel corso di questo secolo, purtroppo, la collezione
granducale ha subito gravi danni, con la conseguente perdita di
parte delle pregiate cultivar medicee: durante la I Guerra Mondiale
(1915/18), le limonaie di Castello furono infatti adibite ad Ospedale
militare ed i giardinieri furono così costretti a lasciare le
piante all’aperto per diversi inverni, tanto che le piante sopravvissute
ancora |
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portano i segni di quel tragico periodo. Andò |
fortunatamente meglio agli agrumi di Boboli quando, durante l’alluvione
di Firenze del 1966, la limonaia fu utilizzata per il ricovero delle
opere d’arte danneggiate e le piante furono provvisoriamente ricoverate
sotto il loggiato degli Uffizi. Ancora
oggi le collezioni di agrumi dei giardini medicei sono seguite con amore
e dedizione da giardinieri specializzati, che li coltivano secondo metodi
tradizionali tramandati da una generazione all’altra e gelosamente
custoditi, sebbene le contingenze economiche degli ultimi anni ne rendano
sempre più difficile il mantenimento ottimale.
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